21 GIUGNO 2016 CONVEGNO “L’ALTRA META’ DEL MONDO”
Ancora oggi donne costrette a scegliere tra lavoro e famiglia
Roma (nostro servizio). Le
donne che fanno sindacato
lo sanno bene, vivendo
in un mondo di gerarchie
maschili. Le studentesse
universitarie lo intuiscono
ma non hanno ancora la
consapevolezza legata all’esperienza.
Eppure, ascoltando il dibattito
all’auditorium Massimo,
dove la Cisl ha radunato mille delegate,
ragazze universitarie e lavoratrici,
rappresentanti istituzionali
e dei sindacati internazionali,
appare chiaro che alla “fa –
vola” dei diritti acquisiti qui
non crede nessuna. E neanche
alla favola della parità acquisita.
La parità in Italia è una conquista
parziale, altalenante, disomogenea.
E mai definitiva. Lo ricorda
Linda Laura Sabbadini,
pioniera delle statistiche di genere,
recentemente allontanata
dall’Istat. “Così come è difficile
sfondare il tetto di cristallo
– dice -, è ancora più difficile
mantenere quelle posizioni. Di
obiettivi ne sono stati raggiunti
molti. Come dimostra anche il
fatto che un sindacato come la
Cisl sia guidato da una donna.
Ma la parità è lontana. Lo dimostrano
l’eccesso di carichi sulle
spalle delle donne e il fatto che
siamo un Paese in cui è difficile
fare figli. E questo è un danno
per le donne, per gli uomini e
per il Paese”. E’ pur vero che, in
assenza di servizi, welfare, buone
prassi di conciliazione, le donne
hanno imparato ad arrangiarsi.
“Le donne sono capaci di ‘funambolismo
culturale’ – dice a
proposito l’antropologa, Gioia
Di Cristofaro Longo -, hanno la
capacità di tenere insieme tante
cose. E la donna di oggi, autosufficiente
e indipendente, crea
una crisi nell’uomo rispetto al
proprio ruolo”. Ma l’autosufficienza
è costata molto. Ancora
oggi, ricorda Gioia Longo, ad
“integrare” i servizi sociali, i
servizi alla famiglia, sono spesso
le nonne che a loro volta vengono
aiutate, quando non sono
più autosufficienti, da figlie e badanti.
Difficoltà di conciliazione,
disparità, mancanza di servizi.
Sono tutti temi attuali. Eppure,
denuncia nel suo intervento la
ministra della Salute, Beatrice
Lorenzin, se ne parla troppo poco.
Troppo poco nonostante la
denatalità italiana stia già avendo
conseguenze catastrofiche.
“In Italia si fanno 1,3 bambini a
coppia – ricorda Lorenzin -. L’anno
passato sono nati 888mila
bambini, di qui a 10 anni ne nasceranno
330mila. Non devo
spiegare a voi sindacaliste l’impatto
di questo sulla previdenza,
sul lavoro, sulla domanda interna.
Questo scenario non è
fantascienza, è realtà”. Cosa fare?
“Inutile fare le migliori leggi
sul lavoro se non ci saranno
poi più ragazzi per lavorare”.
Secondo la ministra per affrontare
l’emergenza servono servizi,
welfare, un fisco tarato sulle
famiglie e interventi fiscali, e
non solo, per far crescere la produttività.
Soprattutto, però, rimarca
Lorenzin, “bisogna dirsi
le cose come stanno”. E le cose
stanno così: “In Italia non nascono
bambini e l’Italia è il tra i
Paesi Ue con il più basso tasso di
occupazione femminile. Le donne
non fanno figli perché non lavorano;
non perché lavorano”.
Il panorama italiano, osservato
dall’interno, non è incoraggiante.
E, osservandolo dall’Europa,
la prospettiva non migliora.
“Complice la crisi, i passi fatti
negli ultimi vent’anni da molti
Paesi – racconta Monserrat Mir
Roca, segretaria confederale
CES – sono stati quasi annullati. I
Paesi del Sud Europa hanno da
sempre un ritardo nelle politiche
di pari opportunità. E quando
si fanno passi indietro, i Paesi
più penalizzati sono quelli del
Sud europeo”. Il sindacato può
fare molto, non solo sul fronte
del lavoro, ma anche cambiando
dall’interno. L’esempio di IndustriALL
è eclatante. “In quattro
anni – spiega Diana Junquera,
di IndustriALL global Union
–, avendo cambiato le nostre
regole statutarie siamo passati
dal 4 al 40% di presenze femminili
nei nostri organismi dirigenti”.
Oltre alla rappresentanza
di genere il sindacato del ventunesimo
secolo, ricorda Liliana
Ocmin, Responsabile Coordinamento
Donne Cisl, “non può
non affrontare la questione
dell’ingresso massivo delle donne
immigrate al suo interno.
“Ci sono milioni di donne straniere
– sottolinea Ocmin – che
sono integrate o cercano di integrarsi
nelmondodel lavoro e vogliono
fare il salto anche nel
mondo della rappresentanza. Il
sindacato deve tutelare e aiutare
queste donne nel loro percorso
di partecipazione”. Per la
partecipazione, d’altronde,
quella attuale non è esattamente
l’età dell’oro. Lo sottolinea
Annamaria Furlan, chiudendo i
lavori, con un riferimento alle ultime
amministrative. “E’ costato
tanto il diritto di voto – dice
Furlan –. Non sprechiamolo.
Abbiamo assoluto bisogno di
partecipazione. Le leggi non bastano,
se non c’è un impegno corale
per portare in fondo le scelte.
Abbiamo una splendida Carta
Costituzionale. A una parte di
essa, soprattutto sui temi
dell’uguaglianza e della discriminazione,
hanno contribuito le
madri costituenti”. Eppure, evidenzia
la leader cislina, in Italia
le donne devono ancora scegliere
se lavorare o fare figli, devono
rinunciare a fare figli perché
non riescono a uscire dal mondo
del precariato, e le lavoratrici
guadagnano, a parità di funzioni,
l’8% in meno degli uomini.
“Per realizzare gli obiettivi fissati
dalla Costituzione – sottolinea
Furlan – dobbiamo fare moltissima
strada. Per questo noi
continuiamo imperterriti a riproporre
non le divisioni e i populismi
ma un patto sociale tra chi
ha la rappresentanza istituzionale
e chi ha la rappresentanza sociale.
Un patto che consenta di
identificare gli obiettivi prioritari
e il bene comune. Rispetto a
questi, ognuno deve farsi carico
del proprio pezzo di responsabilità.
Solo così possiamo uscire
dalla crisi, creare lavoro, lavoro
di qualità. Se si rimette al centro
il lavoro, si rimette al centro anche
il rispetto per le donne e per
gli uomini. Cosa di cui si sente
un gran bisogno oggi nel nostro
Paese”.
Ilaria Storti
Italia fanalino di coda su asili nido eservizi all’infanzia
Secondo i dati della Cisl, meno di un quinto dei
bambini nel secondo anno di vita e meno di un
decimo dei bambini nel primo anno di vita ha
l’opportunità di frequentare un nido d’infanzia. E
il nostro Paese continua a distinguersi, tra quelli Ocse,
per una bassa presenza di servizi ai bambini ed
alla non autosufficienza e per un alto numero di “caregivers”
informali. Il Monitoraggio straordinario
Piano Nidi (aggiornato a fine 2014) dimostra come il
tasso di copertura della domanda potenziale dei nidi
e servizi integrativi (senza quindi considerare la
scuola dell’infanzia) è in Italia solo del 21,8%. La crescita
dei servizi che si è avuta negli anni più recenti
non ha ancora raggiunto livelli soddisfacenti e si
configura con caratteristiche differenziate sia geograficamente
che in relazione all’età dei bambini.
Nel Sud la percentuale di copertura è del 10,7%.
Considerando anche gli anticipi alla Scuola dell’infanzia,
l’Italia nel complesso arriva ad un tasso di
copertura pari al 27%, il Sud al 19,9%.
Un ruolo sussidiario e di supplenza è svolto dalla
“contrattazione sociale” orientata a sviluppare il sistema
dei servizi sociali e socioeducativi a favore
della famiglia e dell’ infanzia. Dai dati dell’ Osservatorio
sociale Cisl, che annovera 4671 accordi territoriali,
il sistema dei servizi per la famiglia e per l’infanzia
è stato tra le principali voci che hanno impegnato
le strutture territoriali del sindacato. Nell’ultimo
triennio sono stati sottoscritti 1175 accordi che hanno
riguardato la famiglia e 356 accordi sui “minori”
soprattutto riguardanti servizi sociali e socio educativi.
Le regioni dove si è maggiormente sviluppata la
contrattazione per questa platea sono Lombardia,
Piemonte, Campania, Marche ed Emilia Romagna.
Ma per la Cisl servono più servizi a partire dal piano
straordinario nidi e misure concrete che permettano
alle donne di essere impiegate nel mercato del
lavoro senza dover scegliere tra occupazione e famiglia.
Per la confederazione di via Po, è urgente l’emanazione
del decreto inter-istituzionale che potrebbe
consentire alla contrattazione collettiva di accedere
al Fondo triennale 2016-2018 istituito con il
Decreto 80 del 2015 attuativo del Jobs Act, che riguarda
le misure per la conciliazione delle esigenze
di cura, di vita e di lavoro il cui ammontare a 38,3
milioni di euro per il 2016, 36,2 milioni di euro per il
2017 e a 35,6 milioni per il 2018, aiuterebbe non
poco le lavoratrici ed i lavoratori del nostro Paese.
Anche per quanto riguarda la conciliazione dei tempi
di vita e tempi di lavoro la situazione è in forte
evoluzione. L’osservatorio sulla contrattazione di 2°
livello della Cisl (Ocsel), che ad oggi ha censito circa
5000 accordi, mostra come il18%degli accordicomplessivamente
considerati regolamenti questa materia,
disponendo agevolazioni orarie ed apertura
alla concessione del part-time per lavoratrici madri,
nonché varie forme di flessibilità oraria. Poco diffuso,
in tutti gli accordi analizzati, il tema relativo alle
Pari Opportunità: solo il 3% sul totale complessivi
degli accordi stipulati dal 2013 al 2016. Tuttavia la
percentuale di ricorrenza maggiore, nelle singole
voci componenti l’area, è quella riferita alle Azioni
Positive (38%) e “Altre disposizioni” (42%) dove
troviamo una serie di interventi da parte delle aziende
(abbattimento di barriere architettoniche, istituzione
di sportelli di consulenza per i lavoratori disabili,
formazione e promozione in azienda di azioni
positive, disponibilità ad agevolare con forme di
flessibilità oraria le esigenze di cura dei lavoratori,
monitoraggio sull’attuazione delle disposizioni di
legge in materia di pari opportunità in azienda, disponibilità
a valutare progetti finalizzati a conciliare
il lavoro e la cura della famiglia). Disposizioni riguardanti
le norme antidiscriminatorie sono presenti
nella misura del17% degli accordi, mentre le sanzioni
contro le molestie e/o mobbing rappresentano il
5% degli accordi.
F.Gagl.
La carica delle dirigenti la Cisl cambia le regole
Sfondare il soffitto di
cristallo è difficile.
Ma anche restare
“oltre il tetto” lo
è. I dati che Giovanna Ventura
espone nel suo intervento
all’auditorium Massimo
parlano chiaro. Parlano
di un’Italia dove è difficile
lavorare, dove il lavoro
femminile “ha retto
meglio durante la crisi,
ma il tasso di natalità continua
a scendere e una
donna su tre lascia il posto
dopo il primo figlio”.
E parlano di un sindacato
dovenon è semplice scalare
le gerarchie. Conoscere
questi dati, evidenzia la
segretaria confederale,
che ha promosso e organizzato
il convegno, è importante
per “contest –
ualizzare la nostra azione
di proselitismo”. “Nella
Cisl la presenza di iscritte
è più forte in alcune federazini:
Scuola, Fisascat e
Fp, settori dove lavorano
più donne. In Fit, Filca,
Fns ci sono meno donne,
come nei corrispondenti
settori”. Anche nei territori
ci sono differenze. Ci
sono più iscritte in Emilia
Romagna, Liguria, Piemonte.
Menoin Sicilia, Puglia,
Campania. E qui c’è
molto da lavorare, spiega
la dirigente sindacale.
“Sul totale degli associati
– sottolinea Ventura – il
48,06 è composto da donne,
992.206. La presenza
nei consigli generali delle
federazioni, però, va da
un minimo del 24% a un
massimo del 29”. E il
trend è lo stesso, con qualche
oscillazione, in tutti
gli organismi dirigenziali
cislini. La presenza nei
consigli generali dei livelli
confederali va dal 22 al
26%. Nelle segreterie delle
federazioni si va dal 19
al 26%. Nelle segreterie
dei livelli confederali si va
dal 25 al 27%. Nelle segreterie
generali delle federazioni
si va dal 5 al 17%. E
nelle segretarie generali
dei livelli confederali si va
dall’8 al 100% (incarnato
dalla segretaria generale
Annamaria Furlan). Alla
quasi parità di iscritte,
dunque, non corrisponde
una parità nei ruoli dirigenziali.
“In questo contesto
il consiglio generale,
su proposta della segreteria
e dell’esecutivo, ha
approvato modifiche allo
Statuto – spiega Ventura
– con l’obiettivo di riequilibrare
la rappresentanza
di genere negli organismi
dirigenziali”. Le strutture
di categoria e confederali
che hanno una percentuale
di iscritti pari o superiore
al 20% (era il 30%
con le vecchie regole) deve
avere almeno una presenza
femminile nella segreteria.
Non solo. Lo Statuto
attuale, spiega Ventura,
dice che si approva
nello schema di regolamento
del congresso confederale
una “percentu –
ale minima di candidate
alle liste con l’obiettivo di
avere una percentuale
del 30% di donne nel consiglio
generale”. Le vecchie
regole parlavano di
“equilibrata presenza di
entrambi i sessi” senza
fissare soglie. Infine, proprio
per avere organismi
con una presenza di genere
effettiva tra il 20 e il
30%, in base alla composizione
associativa, i regolamenti
congressuali delle
federazioni, delle Usr e
delle Ust dovranno prevedere
“nelle liste, un’ap –
propriata percentuale”.
I regolamenti prevederanno
inoltre “un’adeguata
percentuale di presenza
di delegate e delegati under
35 e immigrati”. Fin
qui le modifiche allo Statuto,
dunque, ma il cambiamento
non passa “so –
lo” da qui. Lo ribadisce
Ventura. “Abbiamo cambiato
le regole per avere
una maggiore presenza di
genere – conclude la segretaria
organizzativa -.
Ma non basta. C’è bisogno
di un cambiamento
culturale e questo significa
che non dobbiamo più
sentirci dire ‘non troviamo
più donne da mettere
in lista’ o ‘non sono disponibili
perché hanno figlie
o genitori anziani’. Facciamouna
politica dei quadri
più orientata alla presenza
di genere e facciamo in
modo che le nostre delegate
possano partecipare
alla contrattazione territoriale
di welfare e aziendale
in modo da accentuare
le opportunità per consentire
questa famosa conciliazione
tra lavoro e tempi
di vita”.
I. S.
ARTICOLO TRATTO DA “CONQUISTE DEL LAVORO” N.121 22 GIUGNO 2016